giovedì 20 agosto 2015

Un grande medico: Mario Giacovazzo. Egli ebbe pazienti illustri, tra di essi anche Maria Callas. Racconta di quando, nel settembre 1975, andò a Parigi appositamente per visitarla, sollecitato in questo compito da due ambasciatori.


"Fui colpito dal rossore violaceo che interessava l'emifaccia sinistra ed il collo sullo stesso lato. Quando le strinsi la mano, mi accorsi che era nodosa, come pure l'altra. Lei stessa le aveva definite "mani da macchinista". La voce era roca e deformava la voce parlata, finanche stridula. Feci la diagnosi...".
Il prof. Giacovazzo, parla, racconta, come se anche noi fossimo stati presenti a quella "visita" quando riscontrò nella Callas la "dermatomiosite", una malattia infiammatoria del tessuto connettivo che aggredisce muscolatura e pelle. "I muscoli della laringe sono tra i primi ad essere colpiti, donde la disfonia irreversibile. Ma anche il muscolo del cuore risulta colpito. Due anni dopo Maria morì di infarto".

mercoledì 15 luglio 2015

Cinquant'anni dal ritiro dalle scene di Maria Callas

Callas, attrice perduta

di Gina Guandalini
Il 5 luglio 1965 la Callas si presentava sulle scene del Covent Garden di Londra per una singola recita di Tosca che divenne in seguito – allora non era dato di prevederlo – la data finale della sua carriera di cantante-attrice.
È come attrice, a ben vedere, che la critica operistica attende ancora di valutarla in modo compiuto. Se tutti gli altri aspetti del suo fenomeno – vocale, musicale, storico, personale, di costume - sono stati esaminati in più di cento libri e in una quindicina di film documentari, così non è per la sua presenza attoriale. E per forza di cose: si sa come la documentazione filmica della Callas interprete si riduca a poche incomplete o frammentarie testimonianze. Lei non credeva – è noto – alla possibilità di conservare su pellicola un’interpretazione operistica.
È del 1956 la sua risposta, su Epoca, a un ammiratore di Torino (“G.R.”) che le chiedeva perché non fosse mai stata scritturata per interpretare qualche film. La Divina rispose in prima persona, ricordando tre proposte da lei fino a quel momento rifiutate: la partecipazione al celeberrimo Casa Ricordi di Carmine Gallone; il ruolo soltanto vocale di Aida nel film omonimo, doppiando Sofia Loren; una non meglio precisata proposta più recente, Tosca come “voce e fisico”. Aggiungeva anche che in America (probabilmente quando era a Chicago, nell’autunno ’54 o ’55) le era giunto un invito ad effettuare un provino a Hollywood, ma le era stato impedito di accettare dai troppo numerosi impegni di lavoro.
Il film Casa Ricordi segue tre generazioni dei mitici editori milanesi e la loro attiva partecipazione alla grande storia dell’opera italiana. Donizetti è addirittura Marcello Mastroianni. Sarebbe interessante sapere quale ruolo fu proposto alla Callas: la Colbran è la svedese Marta Toren, Giulia Grisi è Nadia Gray, la Strepponi è Elisa Cegani. Cantano Del Monaco, Poggi, Gobbi, la Tebaldi (nella Bohème), la Simionato, Tajo e Neri tra gli altri. Anche in questo caso la Callas adduceva “impegni di lavoro” come motivo di rifiuto, aggiungendo di non aver avuto l’occasione di vedere Casa Ricordi.
Quanto al celebre film di Clemente Fracassi in cui la protagonista ha il fisico prepotente della Loren e la voce della Tebaldi, la Callas aggiunge acidamente “non so nemmeno se poi è stato realizzato” e spiega che ha detto di no “non piacendomi per principio ‘prestare’ la voce”. E’ possibile che pensasse, oltre che naturalmente alla sua “aborrita rivale” e alla terza proposta da lei ricordata, Tosca, a una Cavalleria rusticana di Gallone del ’53, in cui nel ruolo di Alfio Tito Gobbi prestava la voce ad Anthony Quinn.
L’intrigante proposta di Tosca fu quasi certamente il film realizzato a colori a Cinecittà nel giugno ’56, con Corelli come Cavaradossi (sembra che il cachet richiesto da Del Monaco fosse esorbitante). Impresa molto datata, con Floria Tosca e Scarpia sdoppiati e doppiati: per la protagonista, come attrice il soprano statunitense Franca Duval, dal fisico più simile a quello della marchesa Attavanti che a quello della bruna Floria, e la voce della Caniglia; per il barone Scarpia la presenza attoriale di Afro Poli e la voce di Giangiacomo Guelfi. La Callas afferma che rifiutò di partecipare, ancora adducendo “impegni di lavoro contrattuali”.
In quel 1956 la Callas non citava la sua assenza dalla scena del Trovatore che apre Senso di Visconti (che pure si dice che il grande regista le avesse proposto) e soprattutto il no alla Traviata che la RAI realizzò per la televisione e trasmise il 22 dicembre ’54, per la direzione di Sanzogno e la regia di Enriquez. Violetta fu, come è noto, la bella e accurata Rosanna Carteri. Nel giugno ’54, quando era giunta la proposta ufficiale, la Callas e il marito ne avevano accennato per lettera a Visconti. Era arrivata una risposta violentemente antitelevisiva: Luchino era sgomentato dal progetto “pericoloso e assurdo. Dio mio! Dio mio!...Il più brutto sgradevole antiartistico e controproducente spettacolo che si possa vedere… Un grigiore senza rilievo, senz’anima, senza vigore… Gli pseudo registi, in fregola di arditezze e originalità, confondono il teatro col cinema, il melodramma col documentario di attualità… muovono le macchine da ripresa da far venire il mal di mare”. Forse per Visconti il peggio era che alla RAI “riprendono l’opera in playback… già cantata prima e incisa, dopo di che i cantanti rifanno tutta l’opera muovendo la bocca soltanto”. Insomma non vedeva Maria “a fare il pesce rosso nel vaso”.Aggiungeva che il mezzo televisivo era ancora talmente rudimentale. che era molto meglio aspettare che passasse la fase sperimentale; che almeno arrivasse il colore; che di quegli spettacoli si occupassero “gli artisti”.
C’è da chiedersi come Visconti conoscesse le opere televisive, posto che in Italia quella trasmissione di Traviata avrebbe inaugurato il “filone” sette mesi dopo il suo sfogo epistolare; viene fatto di pensare che fosse sin realtà molto seccato all’idea che la sua interprete di elezione bruciasse presso il pubblico televisivo degli anni ’50, ingenuo e superficiale, nazional-popolare, la Violetta che insieme progettavano di presentare alla Scala. Aveva probabilmente ragione. Sulla trascinante potenza della Violetta-Callas vale il recente ricordo di quella Traviata del maggio ’55 di Piero Tosi, scenografo storico: “Rina Morelli e Sarah Ferrati assistevano da un palco. Piangevano per l’interpretazione della Callas. Rina era una persona morbida, sensibile; ma Sarah no, era una dura, eppure era lì che piangeva».
Fatto sta che, due anni dopo il rifiuto di presentare in TV la sua Violetta, la Callas dichiarava concisamente a quell’ammiratore torinese “Sono d’avviso che filmare opere liriche non sia cosa buona”. Avrebbe purtroppo conservato questa ostilità per tutta la vita. “Se potessi scegliere, mi piacerebbe interpretare la vita di una grande cantante lirica del passato”, prosegue la sua risposta su Epoca.
Il risultato è che i posteri hanno ben poco materiale filmato su cui giudicare questa storica attrice cantante.
E’ ironico che siano rimaste tre versioni filmate del secondo atto di Tosca (New York novembre ’56, tagliatissimo; Opéra di Parigi dicembre ’58; Covent Garden febbraio ’64) e nulla in pratica sia stato preservato di altri ruoli, ancora più emblematici della Callas attrice, come Medea, Norma e Anna Bolena.
Va detto infatti che ben poco si può dedurre e inferire sulla recitazione della Callas dai due minuti scarsi di frammenti della Norma triestina del novembre ’54 – dove fra l’altro l’obiettivo taglia la testa ai protagonisti e ne allunga i corpi; dal lacerto oscurissimo della generale di Butterfly a Chicago nel novembre ’55; dai due o tre flash del palcoscenico scaligero alla fine di Norma (dicembre ’55) e dell’Opera di Lisbona nella Traviata (marzo ’58).
E’ vero che il concerto di Amburgo del maggio ’59, di cui è stranoto il kinescope in bianco e nero, offre un bellissimo saggio della grandezza di interprete della protagonista; nel differenziare il pensiero intimo dal declamato, nel trascolorare della gamma espressiva dal malizioso al tragico con il viso e il gesto; nell’uso sapiente dello scialle da sera nel creare un costume – mantiglia, manto regale, cappuccio, stola agitata dal vento e dalla follia - e un clima. Qui è il caso di notare che di recente una nipote della Callas da parte del padre, abitante a Tarpon Springs in Florida, ha dichiarato che Maria, insieme alla madre e alla sorella, avrebbe abitato presso la sua famiglia dal ’28 al ’30 e non solo - come narrato da Jackie e Litsa nelle loro biografie - per una vacanza marina nell’estate ’29. Nei ricordi della zia paterna la piccola Mary sarebbe stata entusiasta di uno scialle a frange che ricopriva il pianoforte e nelle sue frequenti esibizioni canore se lo sarebbe drappeggiato addosso, provando e riprovando l’effetto visivo e teatrale di questo fondamentale prop.
Molto mitizzato - e pasticciato con sonorizzazione casuale - è il footage di due minuti dell’ultima Medea scaligera, che pure qualche idea ci dà della Callas attrice magra ed invasata.
Esistono poi 40 secondi di prova della scena di Medea con Creonte, (Ferruccio Mazzoli) a Epidauro nell’estate ‘61: la Callas indossa un vestito estivo a fiori su cui ha gettato uno scialle scuro.
Più distaccata che nel ’59 ma sempre regina della scena la Callas si rivela nei concerti di Londra e Amburgo del ’62. Ma sono sprazzi di teatralità, come lampi in un cielo buio. E abbiamo ancora brevissimi filmati molto amatoriali realizzati dall’alto del loggione e dalle quinte dell’Opéra di Parigi in Tosca e Norma nel ’64.
E’ interessantissimo il brano del recitativo che precede “Casta diva”, ripreso durante la generale all’Opéra di Parigi nel maggio ’64: audio e sonoro, con scene, costumi e coro, da “Infranta, sì!” a “Io mieto”. La più autorevole Norma del ventesimo secolo qui batte veramente un colpo, dà un’idea del suo carisma.
I filmati-Callas si concludono con il concerto francese del ’65 che incluse Manon di Massent, Sonnambula e “O mio babbino caro”; e qui l’espressività del bellissimo viso e i gesti accorati possono, per qualcuno, sostituire un intero film di Norma o Traviata; come del resto accade per il materiale filmico della tournée 1973-’74.
Un elemento di valutazione del potere attoriale della Callas resta certamente la Medea di Pasolini, girata nell’estate ’69. Ma va tenuto presente che in Italia solo da una decina d’anni è ricomparso in sordina il DVD con la sua autentica voce che recita in italiano; per trent’anni la recitazione parlata è stata quella di Rita Savagnone. Bravissima doppiatrice, ma ovviamente estranea al “corpo” di chi recita, per cui il cinquanta per cento di quella interpretazione ci veniva sottratto. Ed è triste che nessun critico cinematografico ne abbia parlato (all’estero la Callas recita in inglese). Si è detto che all’indomani dell’uscita di Medea sugli schermi europei, il regista friulano avrebbe suggerito a Maria un film da Madre Coraggio di Bertold Brecht…
Un recente intervento dell’attore, scenografo e oggi gallerista Giorgio De Dauli è poi tutto da verificare: afferma che, lasciato il marito e costretta a fare i conti con una grave crisi vocale, la Callas avrebbe consultato il produttore Filippo Del Giudice – finanziatore dei tre film shakespeariani di Laurence Olivier tra il ’44 e il ’53 – per sapere se le fosse possibile passare alla carriera cinematografica. La risposta dell’illustre produttore sarebbe stata, prevedibilmente, negativa. Solo che De Dauli colloca questo incontro nell’anno 1956, quando i coniugi Meneghini erano ancora lontani dalla separazione, di crisi vocale nessuno parlava e la fase creativo-operativa di Del Giudice era finita da un decennio.
Costretti a ricostruire la Callas-attrice sulla base di fotografie, tre o quattro autori hanno lasciato studi importanti.
Nel 1974 Gerald Fitzgerald, vicedirettore dei periodici newyorkesi Opera News e Opera Ballet, pubblicava quello fondamentale e tuttora insuperato, il sontuoso volume fotografico Callas. Spina dorsale di questo smagliante tributo era una e vera e propria messe di ricordi di Visconti e Zeffirelli, tutti più o meno inediti, a commento di una serie di bellissime foto degli spettacoli scaligeri e londinesi. Sandro Sequi, Piero Tosi, Nicola Benois, Gianandrea Gavazzeni, Carlo Maria Giulini, Nicola Rossi Lemeni e Franco Corelli rinforzavano il coro. Margarita Wallmann permetteva a Fitzgerald di riprodurre quanto da lei scritto nella sua autobiografia coeva, Les balcons du ciel. John Ardoin, critico di Dallas che avrebbe quasi interamente dedicato la sua attività esegetica alla Callas, contribuì con una sostanziosa prefazione: due lunghi saggi sulla cantante e sulla donna (di cui fu amico personale tra il ’68 e il ’74). Il libro è diventato perciò famoso come Callas: The Art and the Life “di John Ardoin”; mentre il settore portante, il corpus di questo studio è in realtà The Great Years di Fitzgerald. Inutile dire che quanto fu raccolto da Fitzgerald è stato citato e ripetuto all’infinito in cento altri libri, finendo per non avere più copyright o paternità.
Sprazzi visivi affascinanti si possono godere nella raccolta fotografica Les images d’une voix, che Sergio Segalini pubblicò nel 1979. E gli appassionati conoscono un altro volume fotografico francese, di Gérard Gagnepain, che è stato collezionista di materiale – tra l’altro - circense e cinematografico.
Michael Brix, studioso di architettura tedesca e in generale barocca, ha pubblicato nel ’94 uno studio che nella seconda metà è fotografico e attinge a fonti che all’epoca erano inedite, come ad esempio le espressive immagini dell’Ifigenia in Tauride fotografate da Willy Rizzo, e il patrimonio visivo londinese firmato da Houston Rogers.
Qualche reminiscenza inedita (di Rossi Lemeni, di Rescigno…) è reperibile in Callas e Bellini: Analisi di una eredità della musicologa siciliana Floriana Sicari (Sinfonica – Brugherio 2002).
Diverse tesi di laurea sull’argomento “Callas attrice” sono state discusse tra il 1979 e oggi; io ne ho sfogliate tre. E ogni volta mi chiedo se tramite un’analisi minuziosa di centinaia di fotografie, se grazie a una pur apprezzabile conoscenza di regìa e recitazione i laureandi in questione possano spiegare come recitava la Callas; se siano in grado di articolare e dettagliare un vero discorso sulla sua presenza di interprete scenica. Come se avessero seguito ossessivamente la sua carriera dal 1940 al 1974; come se disponessero di una fitta e accurata filmografia, a livello di quelle della Garbo, di John Gielgud, di Laurence Olivier e di altri. Così non è, purtroppo. Cinquanta istantanee di una regia di Visconti ci dicono molto e permettono di farsi un’idea di ciò che fosse l’interpretazione callasiana. Un’idea, però; altro era quello che vedeva il pubblico di palchi e platee, ben altre erano le suggestioni che arrivavano ai loggionisti; e tutti contemporaneamente ascoltavano.
Sarebbero da raccogliere e rileggere le impressioni di coloro che, spettatori coinvolti del fenomeno Callas tra il ’49 e il ’65, ne riascoltavano dopo decenni le relative registrazioni dal vivo, ma sono annotazioni molto scarse, forse divulgate solo da Celletti e Gualerzi. Fedele D’Amico, per fare un esempio, descriveva volentieri l’impatto visivo della Traviata del ’55, ma rifiutava ogni ascolto discografico per principio e si basava solo sui ricordi. Le generazioni che dagli anni Settanta si nutrono dei dischi della Callas non hanno potuto essere presenti in teatro.
Quasi interamente assente è poi uno studio su tutti i registi di Maria Callas, prima e al di fuori di Visconti e Zeffirelli. C’è il fondamentale periodo trascorso in Grecia fino al 1945, mai compiutamente documentato prima che apparisse lo studio di Petsalis-Diomidis nel ’97. Molte sono le domande che avremmo voluto rivolgere a diverse persone di teatro che plasmarono la Callas adolescente. Si tratta di Yorgos Karakandas (suo insegnante di recitazione fin dal ’37), Mihalis Vourtsis (che mise in scena il saggio scolastico di Cavalleria rusticana); Elvira Rodriguez Raglàn, in arte Elvira De Hidalgo (seconda madre - e probabilmente anche regista di una Lucia di Lammermoor, nel giugno ’43, di cui Maria seguì tutte le prove); Renato Mordo, che le inculcò alcuni concetti fondamentali di “presenza scenica”; Dino Yannopoulos (suo regista in Tosca nel ’42, ’43 e ’56); Oscar Walleck con il quale preparò Leonore di Fidelio. Tutti venivano da carriere importanti e le hanno trasmesso nozioni fondamentali.
E, nel corso della carriera internazionale, la Callas lavorò con una sfilza di teatranti dai quali lei, vera e propria “spugna”, avrà assorbito idee, sicurezza e forse ispirazione. Ecco i nomi, per gli studiosi di storia del teatro: Carlo Piccinato, Alessandro Brissoni, Carletto Tibòn, Carlo Azzolini, Riccardo Santarelli, Armando Agnini, Riccardo Moresco, Carlos Marches, Carlo Maestrini (assistente di Armida e regista di Medea alla Fenice), Carlos Diaz Du Pond, Giuseppe Marchioro, Bruno Nofri, Hans Busch, Desiré Defrère. E che cosa si sa di Augusto Cardi, di Mario ed Enrico Frigerio, di Domenico Messina, di Ugo Bassi, di Ciro Scafa?
Insistiamo che lo storico del teatro, se vuole valutare pienamente il fenomeno della Callas attrice operistica, può e deve andare oltre i nomi di Visconti, Zeffirelli e Wallmann. Ancora agli inizi di carriera, donnone massiccio e goffo, la nostra cantante lavorò con Guido Salvini, discendente del grandissimo attore Tommaso e colonna del teatro italiano; con Giovacchino Forzano, librettista di Puccini; la Norma romana del ’50 fu preparata con Alessandro Sanine, grafia italiana di Aljexandr’ Sanin, scenografo e direttore di scena delle favolose stagioni del Ballet Russe di Djaghilev a Parigi. Il primo Turco in Italia romano si giovò della messa in scena di Gerardo Guerrieri, intellettuale e drammaturgo, collaboratore di Visconti e di De Sica. L’Armida fu visualizzata e messa in scena nientemeno che da Alberto Savinio (fratello di De Chirico), e certo sarebbe interessantissimo conoscere con precisione qualche reazione o commento della protagonista , anche se, o proprio perché, si sa che non furono positivi. Che cosa sa l’appassionato di due donne fondamentali nella carriera callasiana, Hizi Koyke con cui lavorò su Cio Cio San a Chicago, e Tatiana Pavlova che la preparò come Fedora?
Né sono da dimenticare registi stranieri come il baritono austriaco Hans Duhan, come le colonne dei teatri europei Herbert Graf e Carl Ebert, solidi metteurs en scène quali Tyrone Guthrie (cugino di Tyrone Power!). Michael Benthall, William Wymetal e Nathaniel Merrill, certo più noti all’estero che in Italia; il russo-francese André Barsacq, collaboratore di Jacques Copeau, che mise in scena la sua prima Medea. Tra i registi italiani Maria Callas ebbe a lavorare anche con il palermitano Aldo Mirabella Vassallo, con il compositore triestino Livio Luzzatto, con il napoletanissimo Ettore Giannini.
Infine, fanno parte della storia dell’opera le regie di Herbert von Karajan; di quella rivoluzionaria Lucia di Lammermoor del biennio ’54-‘56, non tutto è stato descritto e valutato.
Un elenco di talenti che si spera sia di stimolo ad affrontare l’argomento Callas da un’angolazione che finora è stata minoritaria, e a farlo in profondità. Perché cinquant’anni fa il mondo dava l’addio a una straordinaria cantante-attrice.