domenica 2 maggio 2010
E' calato il sipario sugli sprechi lirici
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da: Il Giornale
di Paolo Bracalini
Il Colle emana il decreto che limita le spese delle 13 fondazioni: "bruciano" milioni, spesso in inutili privilegi. Bonus se si recita armati, indennità "per l’umidità" se si canta all’aperto e supplemento per chi suona con il frac. Coro da Milano a Bari: "Sciopero". Bondi: "Scelta irresponsabile"
Un barlume di novità, nella giungla dorata delle fondazioni liriche, e apriti cielo: scioperi in vista, L’oro del Reno boicottato alla Scala, Don Chisciotte disarcionato all’Opera di Roma, Il barbiere di Siviglia ripone le forbici a Torino, e via così, andante con moto. Per i sindacati è un affronto, per altri una riforma attesa da decenni, in un settore immobile come il Walhalla wagneriano. Ma intanto qualcosa si è mosso, col via libera ieri del Quirinale al decreto Bondi che riforma gli enti lirici italiani, i tredici super-teatri che ingoiano 300 milioni di euro statali in un anno e che riescono a spenderne anche di più (parecchi di più) per pagare l’esercito dei 5.700 dipendenti, una media di 438 persone cadauno. Il decreto ministeriale indica le linee guida, ed è già qualcosa visto che l’ultimo riassetto nel mondo del bel canto risale al 1997, e non risolse granché, anzi. Dunque fiato alle trombe, bando ai privilegi, che sono un bel po’. Uno su tutti: i fantasmagorici contratti integrativi che, per l’appunto, integrano le buste paga normali. Con le nuove norme gli orchestrali e i dipendenti dei teatri lirici dovranno rinunciare agli integrativi-monstre, spesso carichi di prebende, e negoziare tutto o quasi nel contratto nazionale, lasciando agli integrativi le cose minime. Invece, fino ad ora, è lì che si annidava il privilegio, spesso al limite del surreale. Ricordiamo qui solo qualche caso particolarmente esilarante (anche se orchestrali, sindacati e affini si risentiranno). Come l’«indennità umidità» per chi suona all’aperto, in altri termini soldi in più per farsi ripagare della scomodità di suonare sotto il cielo, anche se di umido non c’è traccia e la serata è viceversa secca e calda come le notti a Caracalla. All’Arena di Verona invece gli attori dell’Aida non vanno in scena se non gli si assicura «l’indennità armi finte», dacché l’alabarda di cartone e la lancia di gommapiuma potrebbero ferire l’artista. Altri soldi, o non si va in scena, oppure ci si va ma disarmati, come successe per davvero in un’opera verdiana al teatro scaligero. Ma la fantasia sindacale degli addetti nelle fondazioni liriche non ha limiti. Allora ecco l’«indennità frac», un premio per indossare l’abito da pinguino. Oppure «l’indennità di lingua», cioè un bello straordinario ogni volta che un coro deve esercitare l’ugola in un idioma straniero. Qui, al San Carlo di Napoli, hanno avuto la genialata, e l’«indennità di lingua» scatta anche se c’è solo una parola straniera in tutto la partitura. Tutti, invece, hanno «l’apporto capitale», un’altra ghiotta prebenda, in base alla quale il musicista che suoni con il proprio strumento, viene ripagato del fatto di consumare il proprio strumento. Se capita poi di andare all’estero, il conto in banca del professore d’orchestra e degli altri «manovali» della fondazione lievita come il pane di Altamura: anche 150-200 euro al giorno in più oltre alla retribuzione base. Corrispondente, ricordiamolo, a 16 ore settimanali di lavoro per i musicisti delle orchestre. Un lavoro speciale, certo, ma non speciale come quello dei ballerini, che ora saranno «costretti» a ritirarsi a 45 anni, baby pensionati in tutù, rispetto ai 52 di prima. Un regalo? Così sembrerebbe, ma così non è, perché quei sette anni in più di attività costano spropositi ai teatri, che devono parcheggiare l’ex ballerino stipendiato e assumerne un altro.
Il decreto tocca questi punti, nervi scoperti, e infatti le maestranze sono balzate in piedi punte sul vivo. Nel testo emanato da Napolitano (e che diventerà legge oggi) si prevede che gli integrativi potranno essere sottoscritti solo dopo l’approvazione del contratto nazionale, quindi lasciando poco margine alla fantasia contabile, e che poi tutto verrà sottoposto al controllo della Corte dei conti, per vigilare su esborsi eccessivi e possibili sprechi. Un’altra novità, presa malissimo dagli artisti, è che il rapporto di lavoro sarà sostanzialmente esclusivo. In soldoni significa che i musicisti potranno svolgere attività autonoma, fuori dai teatri, solo entro certi tetti e con modalità molto precise, abolendo il regime di libertà pressoché assoluta che fino ad oggi ha permesso ai musicisti di fare un secondo (o terzo, o quarto) lavoro, e spesso di usare il brand del proprio teatro per lavorare in modo autonomo.
Capitolo personale, il più delicato. Il dato di partenza è che i teatri lirici perdono milioni di euro, hanno spesso bilanci pessimi, spesso vengono commissariati e nelle previsioni per il 2010 già si intravede una voragine di 6 milioni di euro. Ma quel che incide è soprattutto il costo dei 5700 dipendenti, che insieme gravano per 340 milioni di euro (nel 2008). Qui il decreto interviene bloccando temporaneamente il turn over e introducendo criteri nuovi per le assunzioni. Poi, ultimo capitolo del carrozzone lirico: le erogazioni dello Stato. Si cerca di introdurre un criterio selettivo sulla qualità, mentre finora l’ammontare dell’«aiuto» veniva stabilito con due parametri: quello storico (i soldi ricevuti nell’ultimo triennio, per cui chi ne ha ricevuti di più ne riceverà di più) e quello dei costi (con la conseguenza pericolosa che chi più spende, in stipendi del personale, più incassa...). I più virtuosi avranno più soldi, e anche più autonomia (altra novità del decreto). Insomma, forse è la volta che nella lirica si cambia musica.
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