sabato 21 gennaio 2012

Maria Callas: lezioni di canto

Mi piace riportare qui di seguito la prefazione che il direttore Nicola Rescigno, collaboratore ed amico della cantante, scrisse nel 1987 quale prefazione al libro di John Ardoin "Lezioni di canto alla Julliard School of Music" edito da Longanesi & C.


PREFAZIONE
Questo è un libro sulla tradizione: una maniera di interpretare l'opera che va al di là della pagina scritta. Una prassi che ci è stata tramandata oralmente, spesso dallo stesso compositore. Per la prima volta, eccezion fatta per l'importante collezione di cadenze e abbellimenti di Luigi Ricci, questa eredità orale viene documentata per iscritto così come è stata praticata da uno dei suoi maggiori esponenti, Maria Calias. Questo libro è importante non solo per ciò che la Callas ha significato nella musica lirica, ma anche perché stiamo correndo il pericolo di perdere queste tradizioni. I cantanti ancora le conoscono, ma 'tradizione' è divenuta quasi una brutta parola. Questo è accaduto, io credo, per via delle molte atrocità commesse in anni recenti in nome della tradizione: la ricerca dell'effetto a discapito della musicalità; l'uso esagerato degli abbellimenti in un'aria al punto di renderla irriconoscibile; la sistematica eliminazione di tagli a cui si era arrivati attraverso anni di rappresentazioni e che rinforzano la drammaticità e la struttura musicale di un'opera. Per colpa degli abusi, molti sono giunti alla conclusione che tutta la tradizione sia da rigettare. Questo, ovviamente, non è vero. Quel che è da rigettare è la mancanza di studio e di comprensione delle ragioni della prassi tradizionale. In molti casi, i tagli erano stati operati dal compositore o da lui raccomandati durante le prove per la prima dell'opera. Questo è anche il caso di molti cambiamenti della linea vocale che non sono scritti nella partitura. Compositori come Rossini, Bellini e Donizetti, confezionavano la parte su misura per quei cantanti che l'avrebbero dovuta interpretare, in modo da mettere in risalto i loro punti di forza ed evitare quelli deboli. Quando altri cantanti dovevano eseguire la stessa parte, si operavano dei cambiamenti per adattarla alle loro virtù e ai loro limiti. Ciò significa che vi era una grande flessibilità nell'interpretazione, particolarmente delle opere del bel canto, che sono anche quelle per cui la Callas fu così rinomata. Inoltre, c'è una maniera astratta di sentire e rispondere a un brano musicale che va al di là delle possibilità della notazione musicale. Mi ricordo di aver letto un famoso episodio in cui Verdi, durante la prova di una sua opera, aveva richiesto un rallentamento in una frase. Qualcuno gli chiese: «Ma, Maestro, perché non ha scritto un ritardando nella frase?» «Perché», rispose Verdi, «voglio solo un leggero cambiamento di tempo. Sono certo che ogni musicista sensibile lo capisce. Se scrivo un ritardando, qualche imbecille passerà da allegro ad andante e rovinerà la frase.» Gran parte di quanto c'è di buono nella tradizione operistica è stato creato anche dai grandi direttori d'orchestra, molti dei quali hanno formato il pensiero della Callas. Grandi musicisti che hanno contribuito a rendere viva la musica perché avevano la volontà di andare al di là della pagina scritta per raggiungere lo spirito di un brano. In giurisprudenza, ogni caso è leggermente diverso dall'altro, tuttavia rientrano tutti sotto le stesse leggi. Dunque, una buona legge deve avere una vasta applicazione. Così è in musica, e, come in giurisprudenza, esistono leggi non scritte che hanno lo stesso potere della legge. Naturalmente, gli estremi sono da evitare. Non erano permessi dai grandi direttori come Tullio Serafin, Victor De Sabata o Arturo Toscanini. Tuttavia ognuno di questi uomini ha avuto un atteggiamento personale verso la musica: così, abbiamo interpretazioni altrettanto importanti e storiche, benché differenti, della Lucia di Lammermoor da parte di Toscanini e Toti Dal Monte da un lato, e da parte di Serafin e Maria Callas dall'altro. Nel libro la Callas parla spesso di buona e cattiva tradizione. Noterete anche che quando consiglia un cambiamento nella parte non è mai per amore di virtuosismo, ma sempre per arrivare a esprimere le intenzioni del compositore. La costante ricerca del suo studio era quella di realizzare pienamente l'unione tra parola e musica. Quando dico «parola», voglio anche dire lo sviluppo drammatico di un personaggio da una scena all'altra attraverso l'uso della parola cantata. In questo la Callas era totalmente impegnata e non accettava alcun compromesso. La Callas era un'interprete estremamente coraggiosa e ardita, che spesso rischiava il disastro per ottenere una verità vocale e drammatica. Mi rammento delle recite di Traviata che facemmo insieme al Covent Garden nel 1958. Sera dopo sera cantava un La quasi impossibile tanto era piano e scarnificato, alla fine di Addio del passato, non per avere un bel suono dolce, ma perché quella era l'unica maniera di esprimere lo stato d'animo di Violetta in quel momento. A volte la nota non era perfettamente sicura, ma la Callas non riusciva ad accettare il compromesso di cantarla un po' più forte. La Callas è stata spesso accusata di avere tre voci diverse. Un'assurdità! Ne aveva trecento. Ogni ruolo che interpretava aveva una voce particolare, nell'ambito di quel timbro cambiava continuamente colore per esprimere il messaggio del compositore. Vedrete in questo libro quanto lavoro e quanta attenzione ha dedicato a dare il giusto accento a una parola o perfino a una sillaba, e quali miracoli di tecnica ha impiegato per raggiungere questo scopo. La Callas ha attentamente costruito ognuno dei suoi ruoli sulle principali caratteristiche della personalità del personaggio stesso, e non della propria. Medea è una donna estremamente appassionata, e alla passione sacrifica tutto, persino i figli. Norma ha la stessa passione, ma è capace di pentimento. Su questi semplici fatti la Callas ha creato due indimenticabili, distinti ritratti dello stesso tipo di donna. Violetta è una cortigiana d'alto bordo, ma nel suo animo sono fermamente impresse la grandezza e la nobiltà. Lucia, una ragazza malata, è condannata fin dall'inizio. Una volta che Maria aveva stabilito la chiave del personaggio, lo sviluppava con ogni possibile mezzo: la voce, attraverso la quale le parole assumevano una miriade di sfumature (persino i fiati non erano semplici inspirazioni d'aria ma potevano essere un sospiro, una risata, un lamento, o un risolino); il trucco, gli atteggiamenti scenici, il sapiente uso di un costume o di un velo per ottenere certi effetti, e così via. Su queste basi ha creato la sua stupefacente galleria di ritratti: Lady Macbeth, Amina, Leonora, Anna Bolena, Tosca, Ifigenia, Alceste, Elisabetta, Fiorilla, Lucia, e tutte le altre. Non ho dubbi sull'immensità del suo talento naturale, ma la Callas è riuscita a perfezionare questo dono attraverso molto studio, molta disciplina, e molta umiltà. Mi rendo conto che l'umiltà non è una virtù che si associa normalmente alla personalità della Callas. Eppure, come artista, era estremamente umile. Era sempre la prima ad arrivare alle prove e l'ultima ad andarsene, tanta era la sua ansia di imparare. Cantava sempre a piena voce per poter arrivare alla rappresentazione perfettamente sicura sotto il profilo vocale. Mi ricordo una prova di Medea a Dallas che durò dalle sette di sera alle due del mattino. Dopo quattro ore le suggerii di cantare a mezza voce. Con cortesia mi rispose di preoccuparmi degli affari miei, cioè di dirigere, e lei si sarebbe preoccupata dei suoi. Terminò la prova a piena voce. La Callas si era completamente liberata delle limitazioni che di solito i cantanti impongono alla loro recitazione: non si possono inginocchiare perché poi è difficile rialzarsi con grazia; non si possono chinare perché diminuiscono le capacità del diaframma; non prendono certe posizioni sul palcoscenico perché devono guardare il direttore o il suggeritore. Durante le prove di quella Medea, la Callas chiese al regista, Alexis Minotis, di darle le stesse indicazioni che aveva dato a sua moglie, Katina Paxinou, la grande attrice di tragedie classiche. Quando Minotis replicò che le indicazioni avrebbero dovute essere differenti dato che lei doveva cantare, Maria gli disse, con grande forza, di ignorare quel fatto, e di dirigerla con la stessa libertà che avrebbe avuto se si fosse trattato di una tragedia in prosa. Considerava suo dovere professionale non sacrificare la recitazione al canto, e viceversa. Il più grande segno di umiltà nella Callas era la sua sottomissione all'autorità massima: il compositore stesso. Non ha mai sacrificato le intenzioni del compositore e le sue indicazioni per adattarle al proprio talento, ma piuttosto ha messo il proprio talento al completo servizio del compositore. Le ci è voluto il lavoro di un'intera vita. Bisogna percorrere tutta la strada, non ci sono scorciatoie nell'arte. Il vecchio adagio latino festina lente (affrettati lentamente) dovrebbe essere la prima regola di chiunque aspiri a diventare un artista. Gli esempi musicali in queste pagine sono senza dubbio di grande aiuto per un cantante. Ma il messaggio più importante di queste lezioni è il credo artistico senza possibilità di compromessi di Maria Calias: appare in ogni parola che ha detto e in ogni nota che ha cantato. Sarà ricordata non solo come una grande musicista e artista ma anche come una grande maestra. [Nicola Rescigno, New York City, 1987]

1 commento:

Amadel ha detto...

Francesco:
¡Muchas gracias! por dar a conocer el prefacio del libro.Escrito por alguien que conoció muy bien a María Callas.
Cariños
Amadel