I am sorry for not italian mother-language but below you can find one of the best analisys of Callas' singing and acting art of ever:
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La CALLAS, per il complesso delle sue caratteristiche vocali e di repertorio, ha sovente indotto la critica ad un rapporto con le due cantanti più rappresentative del primo romanticismo: la Pasta e la Malibran. All'una la riallaccerebbero la singolare ampiezza del fraseggio e la plastica nobiltà dell'atteggiamento scenico nelle parti regali e sacerdotali; all'altra la varietà dell'accento, la prontezza dell'intuizione e anche la possibilità di accostarsi felicemente al genere giocoso. Ma il confronto è stato suggerito, a recensori particolarmente edotti dello stile vocale ottocentesco (T. Celli, F.d'Amico, E. Gara e poi vari altri), soprattutto da due elementi: l'eccezionale estensione della gamma e la non meno eccezionale facoltà di eseguire parti di pura agilità con una voce voluminosa, squillante e di timbro scuro. Il parallelo è poi ribadito dalla presenza, nell'organizzazione vocale della C., di manchevolezze a suo tempo rimproverate alla Pasta e alla Malibran, in specie le disuguaglianze di registro (difetto comune a quasi tutte le voci di grande estensione, che molte altre celeberrime cantanti, dalla Pisaroni alla Lind, non arrivarono a dissimulare). Nella C., ad ogni modo, le disparità timbriche tra centri, zona di passaggio e settore acuto sono evidenti; così come è più o meno palese, a seconda della tessitura, l'opacità di certi suoni gravi o il fondo gutturale, e nemmeno privo di asperità, del medium. Asperità e smagliature di vibrazioni trapelano, a volte, anche negli acuti estremi (specie quando la C. affronta parti d'agilità dopo opere dalla tessitura centralizzante) e nei sopracuti, che comunque annoverano il sicuro possesso del mi. Senonché, queste mende sono il più delle volte neutralizzate dalla forza dell'azione interpretativa; quando addirittura la C. non se ne avvale deliberatamente in senso drammatico. Così in varie scene della Norma e, in maniera più tipica, nel Macbeth e nella Medea, certi suoni acri e taglienti e certe inflessioni cupe e velate rendono più essenziale il satanismo del personaggio. In pratica, quindi, si potrebbe affermare che gli appunti che sogliono esser mossi sotto il profilo vocale alla C. hanno un peso solo se riferiti al suono valutato in senso fisico, ma perdono valore di fronte alla considerazione che il vero traguardo da raggiungere è la caratterizzazione del personaggio. Ciò posto, sarebbe arduo negare alla C. facoltà abnormi e tali da fare probabilmente storia a sé. Per la tecnica superlativa, la capacità di eseguire scale, volate, gorgheggi, agilità d'ogni tipo sia con l'andamento brillante, vigoroso, quasi aggressivo ch'era prerogativa di molti virtuosi fino a Rossini, sia nel tono flebile e flautato, che successivamente caratterizzerà i brani "coloratura", la C. può essere anzitutto classificata una vocalista d'eccezione. I suoi attacchi appaiono d'una nettezza esemplare, i legati e i portamenti sono lineari; possiede ampiezza di fiati, messa in voce, perfetta quadratura. In termini di mero virtuosismo, un paragone con i soprani leggeri più in vista dell'ultimo trentennio denuncerebbe, a suo svantaggio, soltanto la minore velocità nell'esecuzione di certi acrobatismi: nondimeno il confronto è reso problematico dal fatto che il temperamento della C. è agli antipodi del fondamentale meccanicismo cui si impronta la coloratura delle odierne cantanti d'agilità. Vale a dire che anche in parti come quelle di Lucia, Amina e Elvira dei Puritani, il canto della C. si sviluppa in un ambito espressivo più ampio di quello delineatosi dopo la Lind e la Patti, e tende a gravitare sull'elemento tragico, oppure a infondere in quei personaggi vigorosi slanci affettivi. Ma, a questo punto, occorrerebbe stabilire se, a parte le risorse coloristiche dipendenti dalla natura della voce e dalla tecnica, esistano nella C. presupposti che la rendano più idonea a sostenere un determinato repertorio anziché un altro. È questione ardua a lumeggiare per la coesistenza di numerosi elementi contrastanti. Restringendo, inizialmente, l'indagine ad un periodo che partendo da Cherubini giunga fino a Verdi, non si può disconoscere alla C. una sensibilità pressoché miracolosa nel cogliere e riprodurre le più sottili differenze dei vari stili; e ciò non solamente nelle arie, ma nel declamato, nel recitativo, nell'impronta del fraseggio, nella graduazione dell'accento, nell'andamento dei tempi. Le sue interpretazioni danno effettivamente l'idea d'un ritorno al clima originario dell'opera sia per quanto concerne la soluzione dei problemi tecnico-vocali, sia per quanto riguarda lo spirito del personaggio (di qui i citati raffronti con la Pasta, la Malibran, e, a proposito della Medea, con la Schröder-Devrient). Tuttavia, scendendo ancor più in profondità, si potrebbe asserire che sul comune denominatore d'una ricostruzione storica sempre abilissima, gioca in modo alterno la sua maggiore o minore adattabilità alle varie tessiture, in primo luogo, e quindi ai vari personaggi. Per cui, ferma restando la sua eccellenza nelle parti tragiche in genere, la perfezione sarebbe attinta in alcune soltanto di esse: là, cioé, dove la C. abbia modo di fondere la propria intima tendenza ad un canto nervoso, ossessivo, lampeggiante, con alcune tra le più seducenti risorse della vocalista. Se ne dovrebbe dedurre che tra i suoi personaggi la priorità spetta a Medea, ad Anna Bolena (lacerante il grido invasato di rivolta: "I giudici! Ad Anna!" non meno della dolcissima mezzavoce - anzi, eco d'una mezzavoce, come ha scritto Gara - con cui la C. tratteggia il delirio della protagonista al finale dell'opera snodando su una sottilissima lamina di suono le più ardue fioriture e agilità: impresa semplicemente prodigiosa e, per fortuna, conservata in un'incisione) e, nel ciclo verdiano, a Lady Macbeth. Giunti però a questa conclusione, non va sottaciuto che a quasi tutte le figure del vecchio repertorio la C. è riuscita ad applicare quella che è in sostanza la formula vocale antica depurata da ogni convenzione, alterazione o incrostazione non compatibile con il gusto moderno. Di modo che il processo interpretativo, oltre a svolgersi con una rigida osservanza del testo musicale, non denuncia le distrazioni o i momenti di deliberato assenteismo che caratterizzavano, anche per intenti di economia vocale, gli esecutori d'un secolo fa. Un personaggio della C. è sempre attivo e operante, anche nei pezzi d'insieme, anche nel recitativo apparentemente più trascurabile, perfino nel semplice gesto (come, nel Trovatore, alla scena del chiostro, le mani che s'accostano lentamente al viso di Manrico, per un attimo creduto un fantasma). Qui subentra un altro aspetto preponderante della personalità della C.: una perizia scenica spinta a così alto grado da realizzare una perfetta fusione tra canto e gesto. L'attrice è, come la cantante, sensibilissima al clima storico e al gioco delle diversità stilistiche, che asseconda non soltanto con truccature perfette e costumi appropriatissimi, ma con un apporto ben più intimo alla configurazione del personaggio: grazie all'espressione del volto o al modo in cui entra in scena, la C. è Norma, Lucia, Elisabetta di Valois, Gioconda sin dal primo istante in cui si presenta al pubblico, ripetendo così il fenomeno di istantanea immedesimazione insito nelle apparizioni di Chaliapine. Se l'autorità dell'attrice coadiuvi l'abilità vocale nel distrarre lo spettatore dalle manchevolezze del timbro, è argomento che riveste una speciale importanza ove si passi ad una valutazione della C. quale interprete del repertorio della "giovane scuola" italiana, le cui tessiture centralizzanti non potevano non risultare ostiche ad una voce impostata per svettare negli spazi astrali del pentagramma e per di più priva delle inflessioni sensuali dei soprani cosiddetti veristi. In questo settore, si può forse giungere a conclusioni complessivamente negative nei confronti della C., con l'avvertenza però ch'esse si rivolgono soltanto alla qualità fisica del suono: indubbi sono i meriti interpretativi e in particolare la giustizia resa a Fedora e a Maddalena di Coigny, riprodotte sotto sembianze e con atteggiamenti di autentiche grandi dame, dopo le innumerevoli plateali deformazioni loro inflitte nell'ultimo cinquantennio (anche Tosca subisce, nella raffigurazione della C., un processo analogo). Soffermarsi sulle polemiche di natura extra-artistica suscitate da taluni atteggiamenti della C., affini al "divismo", o almeno apparentemente tali, esula dalle finalità della presente trattazione; d'altronde, si tratta di avvenimenti di cui la stampa di tutto il mondo s'è ampiamente occupata. È però opportuno porre in rilievo che l'interesse che la C. ha saputo suscitare, come cantante e come donna, non ha precedenti, Caruso a parte, nel nostro secolo, ed è valso a reinserire il teatro d'opera nel vivo dell'esistenza dell'attuale società. Molto attiva nel campo della fonografia, la C. ha riversato nei dischi quasi tutte le sue interpretazioni più tipiche e la perfezione ormai raggiunta dalle tecniche di incisione ha consentito una riproduzione esauriente delle sue doti vocali e del suo stile. In genere, anzi, l'incisione tende ad attenuare qualche asperità timbrica. Questo è uno dei casi, però, in cui nemmeno il disco più felice rende interamente la personalità dell'artista. Manca infatti il sussidio della raffigurazione scenica, elemento determinante delle interpretazioni della Callas.
Rodolfo Celletti - estratto da "Le Grandi Voci" - Dizionario
Critico-Biografico dei Cantanti - Istituto per la collaborazione
Culturale - Roma 1964.
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Belcantismo/Callasiano
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Maria Callas/Sonnambula Bellini: "Ah, non giunge..." 1955, Bernstein, Scala
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giovedì 2 agosto 2007
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