martedì 21 dicembre 2010

MARIA CALLAS 1971 N.Y. Telethon - JERRY LEWIS SHOW



Non è cosa di tutti i giorni, ritrovarsi Maria Callas in trasmissione...
Telethon 1971, tanto tempo fa...

sabato 18 dicembre 2010

Maria Callas "Una voce poco fa" Rossini, 19.12.1958 Parigi



Maria Callas esegue "Una voce poco fa" da "Il barbiere di Siviglia" di Gioachino Rossini. La presente versione è tratta dal concerto "La grande nuit de l'Opéra" tenuto a Parigi il 19 dicembre 1958 per la Légion d'Honneur.
Orchestre du Théatre National de l'Opéra de Paris, direzione musicale George Sebastian.

mercoledì 15 dicembre 2010

Le pene d'amore non uccisero la Callas


da La Stampa

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La scienza smentisce l'ipotesi suicidio della soprano
«Il suo declino causato da una malattia degenerativa»


di GIANGIORGIO SATRAGNI

BOLOGNA, 13/12/2010

Il declino vocale e la scomparsa di Maria Callas, il 16 settembre 1977 nella sua casa di Parigi, non sono mai stati chiariti del tutto fino ad oggi, benché sulla morte siano state avanzate diverse ipotesi, compreso il suicidio, fermamente smentito dai domestici della cantante solo in anni recenti. Ma ora scienza e tecnologia giungono a illuminare circostanze e sgombrare il campo da false deduzioni, riducendo il campo alla medicina e alla foniatria, riprendendo diagnosi passate, sommandole a nuove ricerche e fornendo un quadro convincente.

Il grande soprano era affetto da dermatomiosite, una malattia che provoca un cedimento dei muscoli e dei tessuti in generale, compresa la laringe: di qui la discontinuità e il declino della voce che iniziarono a manifestarsi già all’inizio degli anni Sessanta. Ma la cura per la dermatomiosite è a base di cortisonici e immunosoppressori, un fatto che in simile patologia può provocare alla lunga insufficienza cardiaca: il referto ufficiale, che alla morte della Callas parlava di arresto cardiaco, non è quindi un paravento, ma la conseguenza estrema della malattia muscolare.

A riprendere gli elementi e saldarli insieme sono stati due foniatri, Franco Fussi e Nico Paolillo, che hanno presentato gli esiti della ricerca all’Università di Bologna, nell’ambito di una tavola rotonda organizzata da Marco Beghelli per Il Saggiatore Musica- e dedicata all’analisi scientifica del fenomeno Callas. Il punto di partenza era verificare con strumenti moderni le registrazioni della Callas, in studio ma soprattutto dal vivo, per accertare cosa fosse realmente cambiato nella sua voce fra gli anni Cinquanta, periodo di massima espansione e floridezza vocale, agli anni Sessanta, quando la voce iniziò a mostrare crescenti problemi di passaggio e registri disomogenei, sino ai difficili concerti dei primi anni Settanta. Registrazioni degli stessi brani in anni diversi sono state sottoposte ad analisi spettrografica, dalla quale è emerso che nel periodo ultimo il registro della Callas era diventato mezzosoprano: di qui l’innaturalità delle note acute, fattesi più dure e sgradevoli.

Ma Fussi, uno dei foniatri più importanti, ha analizzato insieme a Paolillo anche gli ultimi video della Callas, da cui emerge evidente il cedimento muscolare, poiché la cassa toracica non si espande nelle prese di fiato, alle quali corrisponde invece uno scorretto alzarsi delle spalle e, soprattutto, una forte contrazione dei muscoli deltoidi, mezzo altrettanto scorretto per sostenere il canto. Su questa base ha ricevuto quindi nuova e probabilmente definitiva luce la diagnosi della dermatomiosite, formulata dal medico Mario Giacovazzo che visitò la cantante nel 1975 ma rivelò il segreto solo nel 2002.

Fussi e Paolillo hanno ulteriormente indagato il quadro clinico connesso alla patologia, fino alle conseguenze estreme dell’arresto cardiaco. In questo modo hanno da un lato tolto di mezzo in maniera inequivocabile l’ipotesi dei barbiturici e dall’altro, in termini artistici, verificato come il declino dell’icona novecentesca del canto non sia da attribuire all’eccesso di sforzo vocale o a cause esterne, vale a dire alle tensioni emotive e mondane legate al rapporto con Aristotele Onassis. Sposata con l’industriale veronese Giovanni Battista Meneghini, la Callas ebbe una relazione con l’armatore greco dall’estate del 1959, dando alla luce un figlio che morì nell’aprile del 1960 poco dopo il parto. La Callas, che nel frattempo si era separata da Meneghini, fu poi lasciata da Onassis, che nel 1968 sposò Jacqueline Kennedy.

Un rapporto vi è però fra il declino e il voluto dimagrimento che nel 1954 fece perdere alla Callas trenta chili, con un metodo ancora ignoto, visto che nessuno è mai stato in grado di capire se la cantante avesse davvero ingerito la Taenia solium, il verme solitario. Fussi e Paolillo hanno ricordato, anche sulla base di casi recenti, come la perdita di peso comporti un minor sostegno fisico dell’apparato vocale e una minore omogeneità dei registri. Anche sulla base di queste osservazioni hanno chiarito il famoso episodio che vide la Callas interrompere la prima della Norma di Bellini all’Opera di Roma il 2 gennaio 1958, mandando a casa dopo il primo atto anche il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi.

Il Quirinale la prese come un affronto, si parlò dimalore o di capriccio della diva. I foniatri si sono adesso presi la briga di analizzare in modo spettrografico il nastro d’archivio di quella rappresentazione, dopo averlo fatto ripulire dai numerosi disturbi. Ebbene, è il documento di una voce affaticata e diseguale nei differenti registri, non più controllati come prima. Non era una capriccio, la Callas stava davvero male, aveva la tracheite e i muscoli stavano forse già cedendo: il declino era iniziato.
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giovedì 2 dicembre 2010

02.12.1923 - 02.12.2010




Oggi avrebbe compiuto 87 anni.
Auguri, Maria!

sabato 20 novembre 2010

Voce bella, voce recitante, voce...



Quest'articolo Bordate sonore apparso su Il Giornale del 20.11.2010, ha colpito la mia attenzione.

D'accordo si parla di Mina e di musica leggera e non di lirica, ma parecchie sono le somiglianze ed i riferimenti con quanto è accaduto, e continua a riproporsi, attorno alla voce di Maria Callas.

Si mette dunque in discussione, senza arrivare a nulla di realmente fondato, l'unicità assoluta delle capacità vocali ed interpretative. Si vuole forzatamente paragonare, e ad ogni costo, la primazia assoluta conquistata sul campo dalle due grandi interpreti con le ben più modeste possibilità di colleghe contemporanee e/o epigone.

Insomma, la solita fuffa, forse anche volutamente promozionale per farsi parlare addosso, creata ad arte da un personaggio che è sempre stato molto discusso.

Ma vi lascio all'articolo che qui riporto in copia:

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«Mina canta Il cielo in una stanza e l’elenco telefonico allo stesso modo, meglio Carla Bruni. La Bruni è l’unica che ha cantato Il cielo in una stanza senza farla diventare una cosa diversa, da cantare per sé». Ecco la bomba lanciata a Un giorno da pecora - su Radio2 - da Gino Paoli contro l’icona della canzone italiana. Un attentato contro chi la considera una Santa Patrona dell’Italia musicale. Paoli gioca pesante (ma visto il contesto satirico della trasmissione di Claudio Sabelli i Fioretti e Giorgio Lauro potrebbe anche aver giocato provocatoriamente con le parole) e attacca Mina sul suo cavallo di battaglia, sul brano che svelò quale grande interprete si celasse - a soli vent’anni - dietro alla ragazzina yé yé che esaltava i fan degli urlatori. «Non so se sa quello che canta oppure no - provoca ancora Paoli - canta come se fosse uno straordinario strumento tecnico, come un flauto o una chitarra».
Bella senz’anima, sembra dire il cantautore, che però non ha le idee chiare sulla figura dell’«interprete» e dell’«esecutrice», se considera, insieme con Mina, esecutrici Aretha Franklin ed Ella Fitzgerald, artiste completamente diverse fra loro. Provate a non emozionarvi con la voce tonante della Franklin che ora si ripiega sui toni coloriti del gospel, ora su quelli sensuali del blues, ora sulla vulnerabilità della balladeuse. E che dire dei classici della Fitzgerald (che è passata dallo swing di A-Tisket A-Tasket e ha portato i suoi vocalizzi nel bebop con How High the Moon) e veniva chiamata da Lester Young «Lady Time» per la sua maestria nel reinventare qualunque canzone? Mina, lo sappiamo, è scomparsa a livello mediatico e le sue ultime canzoni non sono dei capolavori, ma da quando è «sparita», è cresciuta la sua voglia di donarsi con la voce, tanto più diventava drastica la sua lontananza dalla ribalta.
Se poi la si attacca sul passato si cade davvero male; basta guardare il filmato del dvd col concerto alla Bussola del 16 settembre 1972. Come non emozionarsi alle impennate jazz di Fly Me to the Moon o a quelle soul di You’ve Made Me So Very Happy? In una parola teatrale. Così come gli ultimi spettacoli, alla Bussoladomani nel ’78, con brani come L’importante è finire, Grande grande grande, una fantasia di Battisti e una serie di show da vera entertainer. Mina può piacere o non piacere ma non è facile dire che non susciti emozioni. Paoli non specifica cosa sia il belcanto. Parla di canzoni che scuotono, colpiscono nel profondo, e in questo tira bordate anche sull’amica di sempre Ornella Vanoni. «La Vanoni sa quello che canta e ogni tanto riesce anche a commuoverti, anche se tecnicamente è nettamente inferiore a Mina». Allora si decida caro vecchio Gino; vuole una bella voce o una voce che fa vibrare? Cosa significa «cantare un brano senza farlo diventare una cosa diversa»? Perché di voci non belle - anzi - magari fastidiose e non coltivate ma che ti riempiono il cuore con il loro tormento e le dense sfumature della voce, è piena la storia del pop e del rock. Chissà cosa avrebbe detto Paoli se Janis Joplin, che cantava come una che avesse preso un treno in corsa e temesse di perdere la presa, avesse «interpretato» Il cielo in una stanza?

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lunedì 25 ottobre 2010

Maria Callas, odio / amore



Vi riporto la critica del libro "La Rivale", uscita di recente su Appuntando.Wordpress.Com

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Questo delizioso racconto (immaginario [n.d.B.]) rientra nella categoria di quelle che amo definire “five o’clock reading”. Perché iniziano e terminano in una manciata di minuti: giusto il tempo di una tazza di tea sorbita con calma. Come intuibilissimo dalla copertina, questo scritto di Eric-Emmanuel Schmitt è incentrato sulla figura di Maria Callas.

Nota: se non sapete chi sia, o cos’abbia fatto… correte immediatamente qui. E anche qui.

Interessante il punto di vista utilizzato. Maria Callas non viene descritta dall’autore, o da uno sfegatato ammiratore. Bensì da un’altra cantante, Carmela Babaldi, che odia profondamente la sua collega: sia dal punto di vista umano che professionale.

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La Callas, rifiutando di limitarsi [ndr: nell‘estensione vocale], ha operato una scelta suicida. E lei si entusiasma per questo? Ma si rende conto che sta facendo l’apologia di una terrorista, di una che si è fatta saltare in aria?

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Nonostante la cattiveria, l’acidità e la spietatezza usate per criticarla, scorrendo le pagine non si può che sorridere.
Maria Callas è morta da tempo, e la Babaldi è ormai un’anziana ex stella della ribalta lirica internazionale. Che passa le sue giornate a rimuginare di continuo quante volte “la greca” sia riuscita a metterla in secondo piano. Per bellezza, qualità vocali ed anche in quella che un tempo di chiamava dolce vita. Ed è tutto descritto in modo così convulso da sembrare se non comico, almeno tragicomico ed alquanto goffo.
Perché continua a sentirsi oscurata all’ombra di quella donna.

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Non aveva però tenuto conto delle bizzarrie del pubblico, il quale, a rappresentazioni alternate, continuava a ridere della Callas e a chiedere i bis alla Babaldi, ma commentava solo le prestazioni della greca. Carmela ebbe la sensazione di essere diventata trasparente, impercettibile: la applaudivano, riconoscevano che aveva una bella voce e che la sapeva usare, però non suscitava interesse. Il capo della sua claque le disse che addirittura certa gente preferiva comprare il biglietto per andare a fischiare la Callas anziché spendere gli stessi soldi per osannare la Babaldi.

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Pur non esibendosi da tempo Maria Callas rimaneva un mito assoluto in grado di conquistare sempre più sostenitori e di offuscare la sua carriera, che nel frattempo continuava. Per non parlare di quello che avvenne alla morte della soprano ellenica. In molti concordano nell’affermare che il vero boato del successo arrivò postumo: ed ancora oggi i suoi fans sono milioni, in ogni angolo del Pianeta.

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Da qui si intuisce perfettamente il continuo mal di fegato della Babaldi. Lasciate le scene non viene riconosciuta per strada, nessuna lettera di ammirazione nella sua cassetta postale, e non pare esservi traccia delle sue registrazioni nei negozi di dischi.
Fino a quando, in un pomeriggio come tanti, proprio in uno di queste botteghe incontra uno suo grande ammiratore, il giovane Antonio, che ha ereditato dal nonno la passione per la lirica. Ed in particolare per Carmela Babaldi.


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Cosa succederà da qui in avanti lo lascio alla vostra lettura.
Ma sono sicura che strapperà un sorriso amaro anche a voi.
Come scritto sopra, è un intrattenimento che dura una manciata di (piacevolissimi) minuti sia per gli innamorati di questo genere musicale che per i novizi. Che non da una versione edulcorata sul mondo del bel canto, anzi. E che ci regala, nel bene e nel male, il ritratto di una grande artista:

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Maria Callas ha la capacità di proiettare tutta un’anima in un suono. Aprendo la bocca, alza il sipario sul proprio teatro: uno spettacolo dove l’umano vive, ama e soffre con intensità. […]
La Callas crede in quello che fa, indaga i ruoli nel profondo, restituisce loro un peso teatrale, rintraccia il senso drammatico di ogni più piccolo virtuosismo.


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Merita una menzione specialissima l’appendice che accompagna il racconto. Un riassunto delle incisioni di Maria Callas, dettagliatissimo, con molte lodi ed anche qualche critica.

Titolo: La rivale. Un racconto su Maria Callas
Autore: Eric Emmanuel Schmitt
Ed: E/O, 82 pagine, 8.50 euro.
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venerdì 8 ottobre 2010

Dove si trova più una così?

Cilea, Adriana Lecouvreur, Acerba voluttà, Maria Callas, Juilliard, 1971

domenica 3 ottobre 2010

3.10.2010: di nuovo libero!



Definitivamente affrancato da qualsiasi laccio - ancorché mai subito - in qualche modo sentivo che parte del mio pensiero veniva costretto in un mondo piccolo, lontano, 'sordo' (mai parola fu più azzeccata, considerando il contendere).
Ma fortuna e carattere di ferro hanno voluto che tornassi ancora libero!
La divina Arte della Callas ne guadagna: inutile stare a perdere tempo con chi non merita neppure l'opportunità di nominarla invano.

>>Per capire qualcosina in più...<<

lunedì 20 settembre 2010

Maria Callas by Alex Ross


Il critico del New Yorker commemora così i 33 anni dalla dipartita di Maria Callas:

La Divina

"Love me, Alfredo, as much as I love you. Goodbye!" ... In the tense passage leading up to the outburst, the soprano adopts a breathless, fretful tone, communicating Violetta’s initially panicked response to the situation — vocal babbling, the Verdi scholar Julian Budden calls it. Then, with the trembling of the strings, she seems to flip a switch, her voice burning hugely from within. When she reaches up to the A and the B-flat, she claws at the notes, practically tears them off the page, although her tone retains a desperate beauty. Her delivery is so unnervingly vehement — here is what Björk, in her discussion of Callas, called the “rrrr” — that it risks anticlimax. Where can the opera possibly go from here? When you listen again, you understand: Violetta’s spirit is broken, and from now on she will sing as if she were already dead.

giovedì 16 settembre 2010

16.09.1977 - 16.09.2010


Un doveroso omaggio nel giorno dell'anniversario della Sua morte.

martedì 14 settembre 2010

Di ritorno da Atene



Era di notte, sono passato per Adrianou, la strada pedonale che costeggia il parco sottostante l'Acropoli, e al numero civico 3 ho visto qualcosa che mi ha colpito subito. Due foto della Callas a pian terreno e al primo piano, la seconda al centro del frontone, tra un fiorir di bandiere. L'edificio si è presentato abbastanza fatiscente, almeno dall'esterno.
Sto parlando dell'Athenaum "La Divina", e dal nome si capisce bene dedicato a chi.
L'edificio appare così denominato persino su Google Maps
Ho fatto una ricerca in rete, e ho trovato questo link:
Athenaeum Callas

Vi riporto qui le foto che sono riuscito ad ottenere a quell'ora tarda.





giovedì 10 giugno 2010

Gianni Morandi e la Callas


Dall'intervista di Paolo Giordano a Gianni Morandi, apparsa su "Il Giornale" del 6 giugno 2010 a pag. 23:


[...]
"Fu un periodo in cui ascoltavo con passione la sinfonica e la lirica. E mi sono innamorato dei grandi cantanti"

Ad esempio?

"Maria Callas. Non solo il suo timbro. Ma la stessa pronuncia. Proprio il modo in cui pronuncia le parole. Favoloso. Si capisce che c'è un enorme studio dietro. Diciamo che la mia voce esce quasi per caso. Invece i cantanti lirici studiano per anni l'impostazione. Una costanza che rende ogni opera un'espressione particolare di vocalità"
[...]

domenica 2 maggio 2010

E' calato il sipario sugli sprechi lirici




da: Il Giornale

di Paolo Bracalini

Il Colle emana il decreto che limita le spese delle 13 fondazioni: "bruciano" milioni, spesso in inutili privilegi. Bonus se si recita armati, indennità "per l’umidità" se si canta all’aperto e supplemento per chi suona con il frac. Coro da Milano a Bari: "Sciopero". Bondi: "Scelta irresponsabile"

Un barlume di novità, nella giungla dorata delle fondazioni liriche, e apriti cielo: scioperi in vista, L’oro del Reno boicottato alla Scala, Don Chisciotte disarcionato all’Opera di Roma, Il barbiere di Siviglia ripone le forbici a Torino, e via così, andante con moto. Per i sindacati è un affronto, per altri una riforma attesa da decenni, in un settore immobile come il Walhalla wagneriano. Ma intanto qualcosa si è mosso, col via libera ieri del Quirinale al decreto Bondi che riforma gli enti lirici italiani, i tredici super-teatri che ingoiano 300 milioni di euro statali in un anno e che riescono a spenderne anche di più (parecchi di più) per pagare l’esercito dei 5.700 dipendenti, una media di 438 persone cadauno. Il decreto ministeriale indica le linee guida, ed è già qualcosa visto che l’ultimo riassetto nel mondo del bel canto risale al 1997, e non risolse granché, anzi. Dunque fiato alle trombe, bando ai privilegi, che sono un bel po’. Uno su tutti: i fantasmagorici contratti integrativi che, per l’appunto, integrano le buste paga normali. Con le nuove norme gli orchestrali e i dipendenti dei teatri lirici dovranno rinunciare agli integrativi-monstre, spesso carichi di prebende, e negoziare tutto o quasi nel contratto nazionale, lasciando agli integrativi le cose minime. Invece, fino ad ora, è lì che si annidava il privilegio, spesso al limite del surreale. Ricordiamo qui solo qualche caso particolarmente esilarante (anche se orchestrali, sindacati e affini si risentiranno). Come l’«indennità umidità» per chi suona all’aperto, in altri termini soldi in più per farsi ripagare della scomodità di suonare sotto il cielo, anche se di umido non c’è traccia e la serata è viceversa secca e calda come le notti a Caracalla. All’Arena di Verona invece gli attori dell’Aida non vanno in scena se non gli si assicura «l’indennità armi finte», dacché l’alabarda di cartone e la lancia di gommapiuma potrebbero ferire l’artista. Altri soldi, o non si va in scena, oppure ci si va ma disarmati, come successe per davvero in un’opera verdiana al teatro scaligero. Ma la fantasia sindacale degli addetti nelle fondazioni liriche non ha limiti. Allora ecco l’«indennità frac», un premio per indossare l’abito da pinguino. Oppure «l’indennità di lingua», cioè un bello straordinario ogni volta che un coro deve esercitare l’ugola in un idioma straniero. Qui, al San Carlo di Napoli, hanno avuto la genialata, e l’«indennità di lingua» scatta anche se c’è solo una parola straniera in tutto la partitura. Tutti, invece, hanno «l’apporto capitale», un’altra ghiotta prebenda, in base alla quale il musicista che suoni con il proprio strumento, viene ripagato del fatto di consumare il proprio strumento. Se capita poi di andare all’estero, il conto in banca del professore d’orchestra e degli altri «manovali» della fondazione lievita come il pane di Altamura: anche 150-200 euro al giorno in più oltre alla retribuzione base. Corrispondente, ricordiamolo, a 16 ore settimanali di lavoro per i musicisti delle orchestre. Un lavoro speciale, certo, ma non speciale come quello dei ballerini, che ora saranno «costretti» a ritirarsi a 45 anni, baby pensionati in tutù, rispetto ai 52 di prima. Un regalo? Così sembrerebbe, ma così non è, perché quei sette anni in più di attività costano spropositi ai teatri, che devono parcheggiare l’ex ballerino stipendiato e assumerne un altro.
Il decreto tocca questi punti, nervi scoperti, e infatti le maestranze sono balzate in piedi punte sul vivo. Nel testo emanato da Napolitano (e che diventerà legge oggi) si prevede che gli integrativi potranno essere sottoscritti solo dopo l’approvazione del contratto nazionale, quindi lasciando poco margine alla fantasia contabile, e che poi tutto verrà sottoposto al controllo della Corte dei conti, per vigilare su esborsi eccessivi e possibili sprechi. Un’altra novità, presa malissimo dagli artisti, è che il rapporto di lavoro sarà sostanzialmente esclusivo. In soldoni significa che i musicisti potranno svolgere attività autonoma, fuori dai teatri, solo entro certi tetti e con modalità molto precise, abolendo il regime di libertà pressoché assoluta che fino ad oggi ha permesso ai musicisti di fare un secondo (o terzo, o quarto) lavoro, e spesso di usare il brand del proprio teatro per lavorare in modo autonomo.
Capitolo personale, il più delicato. Il dato di partenza è che i teatri lirici perdono milioni di euro, hanno spesso bilanci pessimi, spesso vengono commissariati e nelle previsioni per il 2010 già si intravede una voragine di 6 milioni di euro. Ma quel che incide è soprattutto il costo dei 5700 dipendenti, che insieme gravano per 340 milioni di euro (nel 2008). Qui il decreto interviene bloccando temporaneamente il turn over e introducendo criteri nuovi per le assunzioni. Poi, ultimo capitolo del carrozzone lirico: le erogazioni dello Stato. Si cerca di introdurre un criterio selettivo sulla qualità, mentre finora l’ammontare dell’«aiuto» veniva stabilito con due parametri: quello storico (i soldi ricevuti nell’ultimo triennio, per cui chi ne ha ricevuti di più ne riceverà di più) e quello dei costi (con la conseguenza pericolosa che chi più spende, in stipendi del personale, più incassa...). I più virtuosi avranno più soldi, e anche più autonomia (altra novità del decreto). Insomma, forse è la volta che nella lirica si cambia musica.

martedì 13 aprile 2010

Maria Callas: "Voi lo sapete, o mamma" - da Cavalleria Rusticana di P.Mascagni. Serafin, Milano, 1953



Maria Callas esegue "Voi lo sapete, o mamma" da "Cavalleria Rusticana" di Pietro Mascagni. Orchestra e Coro del Teatro alla Scala di Milano, diretti da Tullio Serafin. Registrazione effettuata a Milano tra il 3 e il 4 agosto 1953.

martedì 23 marzo 2010

Mina, una stella come l'eterna Callas?


Da Il Riformista

Sei grande Mina. Una stella come l'eterna Callas
di Rina Gagliardi

MITO. Paragone azzardato? No, entrambe sono due speciali «attrici» per intensità di interpretazione. Non solo Caruso: sono le donne spesso a toccare i vertici dell'eccezionalità canora. E la Mazzini può ripetere la lunga carriera della soprano Olivero.
Si può essere grandi interpreti musicale anche sulla base di una “voce piccola” (come per esempio è oggi il mezzosoprano Cecilia Bartoli). Poi, però, ci sono le voci grandi, anzi le voci eccezionali, caratterizzate da estensione, potenza, ricchezza di armonici, quasi sempre anche da un timbro del tutto, appunto, fuori dal comune. Quante ne nascono in un secolo? Poche, ovviamente. E lasciano dietro di sé tracce mitiche – come è accaduto a Enrico Caruso, con la sua «cavata da violoncello» o al basso russo Fjodor Scjaliapin o al più recente, ma assai meno fondato, Luciano Pavarotti. Ma sono forse soprattutto le voci femminili a toccare i vertici dell’eccezionalità canora.

Tra le cantanti così dette pop, non solo italiane, Mina Anna Mazzini, in arte semplicemente Mina, è una di queste voci elette. Tanto che ha trascorso gli ultimi trentadue anni di carriera essendo, appunto, soltanto una Voce – lontana dai palcoscenici, dalle Tv, dai concerti e affidata interamente alla produzione discografica. Con un successo e un prestigio che continuano a non venir meno, come attesta il profluvio di celebrazioni che si terranno in occasione del suo settantesimo compleanno, il prossimo 25 marzo.
La voce – e il personaggio – di Mina esplosero alla fine degli anni ’50, rivoluzionando a forza di rock l’Italia ancora prigioniera di una tradizione melodica ormai alquanto impigrita. Ma in tempi molto rapidi assurse al ruolo di cantante “assoluta” – “absoluta”, sciolta, da schemi rigidi e limiti di repertorio. Quella voce divenne capace di interpretare tutto, dal jazz alle grandi melodie classiche di ogni Paese – e cantò in effetti nelle lingue più svariate, fino al giapponese. Universale e assoluta com’era stata Maria Callas, il soprano più leggendario del XXesimo secolo – il parallelo è di critici serissimi, come Rodolfo Celletti.

Che cosa accomuna, dunque, Mina e la Callas? Non è solo la straordinaria ricchezza della voce, capace di espandersi, in entrambe, su tre ottave e di raggiungere grandi livelli di virtuosismo. É la tensione interpretativa, quella che Verdi chiamava la «parola scenica», a rendere unico il loro modo di eseguire un brano musicale dotato di un testo – si tratti di un’aria o di un recitativo. o di una più semplice canzone. É l’intensità espressiva del loro canto, capace di illuminare da dentro - con la padronanza tecnica, la variazione anche impercettibile, il fraseggio originale - il senso profondo di quello che stanno cantando. Insomma, sono due speciali, specialissime cantanti-attrici, non, però, nel senso che si dà comunemente a questa espressione (la capacità di muoversi sulla scena e di usare tutto il corpo, qualità per altro che l’una e l’altra possedevano in alto grado), ma in quello vocale e comunicativo: la verità dei sentimenti o delle situazioni che di volta in volta rappresentano - il pathos, il dolore, l’allegria, il conflitto lacerante, la disperazione, la malinconia e mille altre – è sempre interna alla musica, alla parola musicale.

Quando la Callas, nella famosa scena della pazzia della Lucia di Lammermoor, si inoltra nei difficili trilli della cadenza, fino ad allora eseguiti, anche impeccabilmente, come un supremo esercizio di abilità, riesce di colpo a restituire il colore tragico e l’aura irreale, delirante, che quei gorgheggi devono esprimere – come si confà a una giovane donna che ha smarrito la ragione e ha appena commesso un delitto. Quando Mina interpreta una canzone che ha fatto storia, Se telefonando (l’unico pezzo leggero scritto da Ennio Morricone), la affronta proprio come un piccolo melodramma concentrato (la fine di un amore «cresciuto troppo in fretta») – dal pianissimo dolce, quasi vellutato, dell’attacco sale via via al forte del finale, assecondando in toto, con il pieno dispiegamento della voce, il carattere inesorabilmente ascendente del brano. Due esempi, tra i tanti che si potrebbero fare, per capire che cosa rende uniche, ciascuna a suo modo, ciascuna nel suo ambito, due cantatrici per tanti versi imparagonabili.

Ma c’è un altro parallelo a cui ci chiama il calendario. Gli astri hanno fatto nascere, il 25 marzo del lontano 1910, un’altra gloria dell’Italia canora: Magda Olivero, uno dei massimi soprani lirici del ‘900. La quale si accinge quindi a compiere i suoi primi 100 anni, e in condizioni di relativa freschezza vocale: l’anno scorso, quando di anni ne aveva appena 99, la Olivero ha stupefatto il pubblico intonando un’aria («Paolo datemi pace») tratta dalla Francesca da Rimini di Zandonai.

Quando aveva soltanto 83 anni, e si era ritirata da tempo dalle scene, incise una selezione dell’Adriana Lecouvreur, una delle opere che erano state sue per molti anni. Insomma, una longevità vocale a dir poco stupefacente. Quanto alla vocalità, pur essendo in possesso di una tecnica molto solida nonché di un perfetto controllo del fiato, la Olivero privilegiò il repertorio novecentesco – Puccini, Cilea, appunto, Mascagni, Catalani, insomma gli autori della così detta giovane scuola. In scena, da lei emanava una forza drammatica eccezionale, una sorta di impeto febbrile che emozionava anche le pietre – tanto che fu, a torto, accusata di verismo, lei che, tra le poche incisioni discografiche realizzate in gioventù, dopo il debutto del ’33, ci ha lasciato la più perfetta e virtuosistica interpretazione di Sempre libera, l’aria-simbolo della Traviata.

Ha senso un parallelo artistico tra Mina e Magda Olivero? Forse no, forse sono davvero due voci molto diverse – un altro critico eccellente ha scritto che, se Mina si fosse dedicata all’opera, sarebbe stata un soprano rossiniano, un «soprano drammatico di agilità» come fu in effetti la Callas e com’era stata, nell’Ottocento, la grandissima Maria Malibran (un’altra nata di marzo, guarda un po’, e per la precisione il 24 marzo 1808). In ogni caso, nemmeno un paio di anni fa, Mina l’ha affrontato il Puccini tanto caro alla Olivero – con una cifra stilistica, però, leggera, soft, sognante, lontanissima (non solo per ragioni vocali ma psicologiche) da ogni eccesso passionale. Il vero tratto comune, a ben pensarci, è la durata della carriera e la prolungata freschezza vocale: Mina Mazzini può ben pensare di avere di fronte a sé nientemeno che un altro trentennio di musica e canzoni. Per la gioia di un altro paio di generazioni di fans e melomani.
[Rina Gagliardi / Il Riformista]

domenica 14 marzo 2010

Maria Callas e "Il Musichiere" (la rivista)

Il 22 gennaio 1959 fu pubblicato il n. 3 de "Il Musichiere", rivista del gruppo Arnoldo Mondadori Editore che uscì negli anni '50 a complemento dell'omonima trasmissione TV.


La copertina fu dedicata a Maria Callas, così come l'articolo a firma Aldo Corsi, che segue dopo la foto:






Da: "Il Musichiere" n.3 del 22.01.1959
A firma Aldo Corsi

Una sera del giugno del 1956 Vienna era in festa. Si riapriva, dopo tanti anni, risorto dalle rovine della guerra, il sontuoso teatro dell'opera. Ospite la Scala, si dava la Lucia di Lammermoor: e la parte della stupenda, dolce, perduta eroina belliniana era affidata a Maria Meneghini Callas. Alla fine quando il soprano terminò la famosa scena della pazzia, quando le ultime note della sua voce lunare morirono sulle labbra della più raffinata Lucia che l'esigentissimo pubblico viennese avesse mai udito, gli applausi durarono venticinque minuti. Fuori, la folla travolse ogni sbarramento, bloccò le uscite del teatro per vedere ancora, per toccare la sua beniamina.
Due ore dopo la Callas, sfuggita all'assedio, andò a cena in un localino dietro la St. Stephen Platz, dove a nessuno sarebbe venuto in mente di cercarla. Era felice, i suoi trionfi non avevano mai toccato un vertice simile, l'orchestrina del locale accennava in sordina i motivi di moda, ma in un intervallo uno degli accompagnatori della cantante accennò scherzosamente il motivo napoletano che ha per titolo il suo nome: « Oi Marì, oi Marì ». Una giovane donna lo riprese. Inattesamente, la Callas si unì. Tutti fecero coro.
Poi la voce della Callas sovrastò le altre, che tacquero per uno spontaneo omaggio. La serata proseguì festosa, italiani e viennesi intonarono insieme altri motivi, altre melodie di casa nostra. La Callas si unì ancora, ma si fermò presto per non intimidire chi le stava vicino; e continuò ad ascoltare commossa. Forse l'episodio è unico per lei, non perché non si interessi alle canzoni, perché non le piacciano; ma perché è raro sentirla cantare fuori scena e meno che mai in pubblico.
E' fatta cosi; l'accenno a un motivo, a una frase musicale, quel modo che abbiamo un po' tutti di incominciare, fermarci, riprendere una canzone a strappi, che è segno di distensione e buon umore, non entra nel suo temperamento. Quando si riposa, quando è allegra, e questo succede tutte le volte che riesce a sfuggire alla sua celebrità, ad essere semplicemente la signora Meneghini, col suo Titta, che è il marito, e con i vecchi amici, che sono i più fidati, si diverte con una freschezza, a volte con una ingenuità incredibile, per chi ha sentito tante storie di polemiche e di battaglie. Gioca e racconta storielle. La tigre si mette il grembiule della brava massaia; ma il canticchiare non è compreso nel programma. Eppure, non le sfugge nulla di ciò che è musica.
Una canzoncina alla radio, un motivetto colto a volo per la strada, tutto è subito afferrato e, se una canzone le sembra bella, l'ammira senza riserve; se vi trova anche una briciola di ispirazione sincera, non la dimentica più ; ma non capita di sentirgliela sulle labbra all'improvviso, nei tanti momenti della giornata, così come è impossibile sentir accennare da lei frasi di romanze, attacchi di arie, alla maniera di tanti divi della lirica, che si sentono sempre al piano nobile.
La spiegazione non è complicata. Per la Callas o si canta davvero o non si canta. Perciò anche in casa, dicono gli intimi, non ha l'abitudine di canticchiare, né un genere né l'altro. (Non parliamo dei periodi in cui prepara un'opera nuova; allora tutto il resto scompare. La cantante tira giù la saracinesca, e addio.) Non sappiamo se resiste alla tentazione di attaccare "O sole mio" o "Volare" perfino quando fa il bagno, che è il momento in cui anche le persone più rigide si lasciano andare: questo lo sa soltanto lei, e forse la sua cameriera personale. Ma insomma è così. Il che non le impedisce di intendersi di canzoni, del modo di eseguirle, e di tante altre cose, con una sicurezza sorprendente.
Più di una volta la Callas ha fatto parte di giurie, ha partecipato a festival di canzoni come ospite d'onore, e l'ha fatto sempre portando una nota personalissima, con entusiasmo sincero. Per esempio fece parte della giuria al primo Festival della Canzone milanese, organizzato dalla Famiglia Meneghina; fu lei che scelse la vincitrice. Min Milan, un delicato motivo di Giorgio Fabor. su versi di Attilio Carosso. Per il Natale del 1957 intervenne come vivacissima ospite d'onore al Festival della Canzone organizzato al Palazzo dello Sport di Milano, e consegnò le Guglie d'oro agli astri della musica leggera.
Quella volta si lasciò andare a dichiarazioni molto ammirative. Chi le stava intorno la vide sinceramente incantata da "Lazzarella", cantata da Aurelio Fierro, " 'Na sera 'e maggio", cantata da Giacomo Rondinella, "Serenatella sciuè sciuè", cantata dalla coppia Carla Boni e Gino Latilla, "Io, mammeta e tu", cantata dallo stesso Modugno che ne è l'autore. "High noon", eseguita da Cigliano, e tante altre. Faceva un bel freddo, quella sera. Il Palazzo dello Sport era avvolto da un pesante nebbione, ma all'interno la Callas assieme agli altri ottomila spettatori non si stancava di ascoltare. Vi rimase fino a che l'eco dell'ultima canzone non si fu spenta sotto le enormi volte.
A Ischia, nelle sue diverse soste estive, le piace sentire le canzoni modulate da Calise. A questo proposito i maligni mormorano che preferisca il Modugno autore al Modugno cantante. È però impossibile farglielo ammettere. In ogni caso. Maria non giudica a compartimenti stagni. La musica, quando è musica, le piace tutta. Pochi mesi fa venne in tournée in Italia Harry Belafonte: al debutto milanese la Callas era in prima fila, in platea, ad ascoltare. Era attirata dal programma che toccava un campo poco conosciuto della musica americana, il folclore negro che Belafonte ha saputo scoprire e resuscitare fermandosi alle origini del jazz. Rimase impressionata anche dall'esecuzione, cosi diversa da quelle solite. Disse che Belafonte era un grande artista, un uomo dalla personalità eccezionale.
Aldo Corsi


N.B.: Il testo contiene varie inesattezze, ma è stato riportato come cronaca del "tempo che fu", destinata ad un pubblico poco esperto.

giovedì 18 febbraio 2010

Maria Callas: "Ebben? Ne andrò lontana?" La Wally di A.Catalani, Philharmonia Orchestra dir. T.Serafin, Londra 1954



Maria Callas esegue "Ebben? Ne andrò lontana?" da "La Wally" di Alfredo Catalani. Tullio Serafin dirige la Philharmonia Orchestra. Registrazione in studio effettuata tra il 15 e il 21 settembre 1954 a Londra.

domenica 24 gennaio 2010

Maria Callas, la Voce degli angeli



Piccolo estratto da "Son giunta!", "La forza del destino" di Giuseppe Verdi. Ascoltate, e gioite!

mercoledì 6 gennaio 2010

Franco Battiato e Maria Callas

Anche se sono passati molti anni dalla pubblicazione ho scoperto solo di recente che Franco Battiato ha dedicato una canzone a Maria Callas. Essa si chiama "Casta Diva" ed è stata inserita nel CD "Gommalacca" del 1998.



Il testo, tratto dal suo sito ufficiale, rispecchia chiaramente la vita della Callas, è questo:

**
Greca, nascesti a New York,
e lì passasti la tua infanzia con genitori e niente di speciale.
Fu un giorno che tua madre stanca dell'America e di suo marito,
prese i bagagli e le vostre mani,
vi riportò indietro
nella terra degli Dei.

Eri una ragazzina assai robusta.
Non sapevi ancora di essere divina...
ci hai spezzato per sempre il cuore.

Ti strinse forte il successo
ballò fino a sera con te
la musica non ti scorderà mai.
Viaggiasti e il mondo stringesti.
Ti accoglievano navi, aerei e treni,
invidie, gelosie e devozione.

Un vile ti rubò serenità e talento.
Un vile ti rubò serenità. Un vile ti rubò.

Divinità dalla suprema voce
la tua temporalità mi é entrata nelle ossa.

**

Discografia Franco Battiato

Da quanto se ne sa, Battiato nel 1998 avrebbe voluto utilizzare la voce della Callas quale sottofondo della canzone, ma gli eredi, o la EMI, non si è capito bene, lo hanno impedito per una questione di diritti d'autore.
Ecco l'intervista in cui FB accenna a questo particolare:

Intervista Battiato